Sono una sessantina i cattolichini residenti in Argentina ancora iscritti nelle liste elettorali del Comune di Cattolica. Questo significa che complessivamente la comunità supera abbondantemente il centinaio di persone. Il periodo di maggiore emigrazione fu quello tra gli anni ’20 e ’40, per alcuni significò anche sfuggire alle persecuzioni del regime fascista. Altra grande ondata emigratoria subito dopo la guerra, anni ’45-’50, in cerca di un lavoro e di maggiore fortuna.
Lorenza Antonioli, 76 anni, figlia di Ciarèn, moglie di Silvestro Lorenzi (Lurènz d’Mangarèn), ci racconta la sua esperienza di emigrante in Argentina. “Mi sono sposata per procura, il mio fidanzato era già emigrato in Argentina anni prima. Sono partita nel ’50, e ritornata negli anni ’60. Mi scrisse: “Staremo al massimo tre anni poi ritorneremo”. Risposi: “Invece di venire su tu che hai già il lavoro, vengo giù io”. Qui da noi non c’era lavoro. Siamo rimasti una decina d’anni. Mio marito l’ho conosciuto durante la guerra; a sèmie sfulèd da la Ines d’Garagèsa, io ero da la mi Luisa, mal forne ad Tunèn (Gabellini – di fianco la farmacia comunale)”.
La signora Lorenza Antonioli ci parla dei cattolichini e della loro vita in Argentina. “C’erano i Fadigèn, la Rina, la Carlota (i stèva tla Catòlga vecia), Aldo d’Lucièn, la Maria d’Fighèt col marito Guerrino d’Ciod. Tutte le domeniche si mangiava insieme. Abbiamo fatto tante cose insieme, anche la casa. Tutti quanti stavamo bene. Adesso in Argentina va male.
Ricordo i Zucarèn, la Maria, al su fradèl Mario, che faceva il barbiere in centro (grattacielo della “Gaticiaves”), in una zona dove le signore benestanti facevano la shopping e portavano i loro figli a tagliare i capelli. I barbieri italiani erano considerati i più bravi. Suo fratello Gigèn d’Zucarèn, non si è trovato bene, era imbarcato sulle “chatas” (draghe per la sabbia sul fiume Rio de la Plata); (a Cattolica aveva la bottega di barbiere vicino il ponte di ferro negli anni ’40). Guadagnava bene in Argentina, però non era la sua vita. Eravamo un “barrio” (quartiere) di amici, parenti e conoscenti, quasi tutti di Cattolica e stavamo bene, tutti avevamo la casa.
Il quartiere si trova nella zona di “Lanàs” a Nord-Ovest di Buenos Aires. Io lavoravo in casa, facevo la sarta. Ti ricordi Bertino quando facevi i biglietti del cinema? Ricordo il film con Anna Magnani, “Roma città aperta”… andavamo spesso anche al cinema “Colon” (nel rione “Colonel D’Elia”), qui venivano proiettati bellissimi film italiani?
Lorenza Antonioli continua il suo racconto, non nascondendo nostalgia e commozione. “Dopo Peron, che avrò fatto cose poco belle, però le cose hanno cominciato a peggiorare, è arrivata la delinquenza. C’erano anche altri cattolichini: Lino d’Santnèl, Nello Gregorini, Mario Bragagna con la Gvana, stavano alla “Plata” (la zona mare di Buenos Aires), facevano i marinai. Loro sono venuti su nel ’69. Poi c’era la Lidia dal Marièn col marito Carlo (lui era di Modena). Con le sorelle ci incontravamo la domenica mattina alla messa. C’era una chiesa dei frati come quella di Cattolica. Gli Ercoles, Francesco (Cicala), la figlia Fernanda…
Noi abitavamo a “Bernardino Rivadavia” (zona di “Lanès”), c’era anche un certo Panàma (era di S.Giovanni) la moi l’era ‘na catulghèna, la stèva vicèn ma la staziòn. Poi è venuto un Cerri. Eravamo tutti molto amici; ricordo quando tu Bertino hai fatto la prima comunione: tua mamma aveva fatto la zuppa inglese, e mi ha insegnato come farla. Dopo la facevo tutte le domeniche. Vicino a casa c’era un bel prato con l’altalena e tutti i nostri bambini venivano a giocare.
Oggi vedere in televisione quello che sta succedendo laggiù mi addolora, piango l’Argentina, l’ho ancora nel cuore, anche se ovviamente sono contenta di essere ritornata nel mio paese. Ricordo le passeggiate a “Campo Marè, tutti quei bei negozi… ancora ho molta di quella roba. Terribili nel ’52 furono i fatti di “Casa Rosada”… i carri armati e le sparatorie (golpe militare dei generali Roja e Aramburo contro Peron). Diversi peronisti si erano rifugiati nella casa di Pesaresi, col rischio di essere fatta saltare.
Nel ’54 ci fu un nuovo golpe militare. Era pericoloso, molti italiani sono morti. Rumèn al Sartòr era rimasto coinvolto e dato per disperso. Fortunatamente se là cavè con un grande spavento. Dopo è arrivato il governo Frondizi, poi subito dopo i militari (anni 70 fino ’82), il generale Videla nel ’76, le torture, i desaparacidos… Non era più l’Argentina che conoscevamo… quanti morti innocenti.
Non sono ritornata più in Argentina. Quando ancora vedo le madri di Plaza de Mayo, con quei fazzoletti bianchi in testa e lo foto dei loro cari scomparsi, mi viene da piangere. Ai nostri tempi c’era allegria, si ballava il tango ovunque. Ricordo che vicino casa c’era il “Club Sifon” e sentivamo quella musica che ci rallegrava. D’estate facevamo la passeggiata domenicale coi bambini a mangiare il gelato, d’inverno si andava a mangiare la pizza dalla Magnani (era una signora che assomigliava alla famosa attrice)”.
Con Menem (anni ’90) l’Argentina ha raggiunto il massimo della corruzione, portando il paese alla bancarotta. Si dice che la crisi Argentina derivi dagli effetti della globalizzazione selvaggia e della politica del Fondo Monetario Internazionale. L’argentino Julio Velasco, importante personaggio della cultura e dello sport (ha allenato la nazionale italiana di pallavolo portandola ai massimi livelli) dice che: “Il male dell’Argentina è il liberismo sfrenato e senza regole, la corruzione dilagante, un vittimismo esasperato, l’inefficienza e la presunzione. Ma soprattutto la corruzione altissima delle classi dirigenti. Una pratica diffusa che si è trasformata in una sorta di cultura nazionale”.
di Alberto Prioli
La Piazza di Rimini – Giornale di Cattolica
(Foto – Archivio fotografico Centro Culturale Polivalente di Cattolica)