IL MOSASAURO DI MONTE CETI
di Marco Valeriani
NOVAFELTRIA
Novanta milioni di anni fa – c’è chi azzarda “solo” 65 milioni di anni fa – il Mosasauro della cava di Monte Ceti nuotava, senza rivale alcuno, nel grande mare che separava l’Africa dall’Europa, quando l’Italia conosciuta oggi non esisteva affatto.
L’ipotesi, alquanto suggestiva, scaturisce dai primi esami, dalle iniziali valutazioni non immuni da errori, compiuti dai paleontologi al lavoro da oltre un anno sullo spettacolare fossile del cranio – denti compresi – attribuibile al gigantesco predatore acquatico.
La scoperta, del tutto casuale, è frutto dell’esperienza e della pazienza di Paolo Giordani, collezionista attivissimo tra le rocce argillose del Montefeltro.
“Un cranio fossile – spiegano gli studiosi – pertinente ad un vertebrato carnivoro – un “dinosauro” – di grandi dimensioni (almeno 10 metri di lunghezza), ovvero un reperto antichissimo risalente al Mesozoico, un periodo per il quale non esistono testimonianze analoghe, non solo in Romagna ma nell’intero Appennino Settentrionale”.
Il ritrovamento è datato agli inizi di settembre 2010, tuttavia la segnalazione al Museo della Regina di Cattolica è stata “inoltrata” dal geologo Loris Bagli (tra i maggiori e più autorevoli conoscitori dei siti paleontologici di Romagna e Marche) il 4 ottobre dello stesso anno. Da qui, attraverso la responsabile del Museo cattolichino, Maria Luisa Stoppioni – che ne ha curato la conservazione in luogo idoneo ed accessibile a sopralluoghi e analisi – il messaggio del rinvenimento è stato trasferito alla Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia Romagna (all’epoca il Soprintendente era Luigi Malnati, oggi Direttore Generale per le Antichità del Ministero per i Beni e le Attività Culturali).
I principali interrogativi cui, all’indomani della scoperta, occorreva dare risposte erano: a quale vertebrato appartenessero quel “testone” così massiccio, quelle mandibole micidiali e possenti e quei denti così lunghi, aguzzi e taglienti (fino a 15 centimetri); come garantire il miglior mantenimento del reperto; il tipo di restauro ed i costi da sostenere.
In collaborazione con l’attuale Soprintendente, Filippo Maria Gambari, e il funzionario Monica Miari, sono stati interpellati il curatore del Museo di Paleontologia dell’Università di Ferrara, Benedetto Sala, e alcuni abili restauratori. Sala, al suo arrivo a Cattolica, ha riconosciuto nel fossile scavato da Giordani il cranio di un enorme rettile risalente al Mesozoico.
La tappa successiva ha visto il Museo della Regina contattare la direzione del Museo Capellini di Bologna con sede all’interno della Facoltà di Geologia dell’ateneo felsineo. Ora toccherà a Federico Fanti, paleontologo del Capellini, togliere ogni dubbio sull’identificazione del reperto una volta eliminati i sedimenti in cui è “incastrato”.
“Il fossile sarà temporaneamente trasferito a Bologna. Abbiamo davanti – racconta Fanti – un reperto più unico che raro; fornirà certamente importanti informazioni su un mondo scomparso da milioni di anni”.
Come giudica lo stato di conservazione del cranio e dei denti? “Direi buona, solitamente la testa è la parte del corpo che si preserva peggio”.
Quali potevano essere le dimensioni dell’animale? “Considerata la grandezza del cranio, almeno 10 metri di lunghezza”.
Quindi le ipotesi portano a pensare si tratti di un…? “Potrebbe trattarsi di un Mosasauro, i denti misurano fino a 15 centimetri”.
I sopralluoghi successivi non hanno dato esito positivo. Infatti dalla cava privata non sono riaffiorati – al momento – altri “pezzi” collegabili al rettilone.
Concluse le ricerche – questo l’auspicio formulato nel corso dell’incontro stampa svoltosi il 29 febbraio scorso e al quale hanno partecipato i rappresentanti di Soprintendenza e Provincia di Rimini; i sindaci di Novafeltria e Cattolica; i Musei coinvolti nel progetto di recupero e valorizzazione; i paleontologi e gli stessi Giordani e Bagli –, il fossile costituirà un’attrazione di assoluto rilievo e sarà “l’attore protagonista” di accurate mostre sull’intero territorio regionale.
La Piazza della ProvinciaGiornale di Valmarecchia