Guido Tommasini, ‘Tigàmo’, 94 anni, è il più anziano della marineria cattolichina. Ci racconta del terribile naufragio che lo vide protagonista insieme ai due fratelli Pino e Gianni, a Remo Ercoles e ‘Chicano’. Con lucidità e commozione inizia il suo racconto.
Quando è successo il fatto nel’38, andemie a sas. Si caricava la brecia a Fano; erano una ventina le barche che facevano questo lavoro. La ghiaia veniva poi caricata sui camion che la portavano a Ravenna. Serviva per i lavori stradali. Salvatore Galluzzi, presidente della Cooperativa Casa del Pescatore di Cattolica, andava per noi a fare i contratti a Ravenna. Altre volte caricavamo la sabbia da portare a Pola. Al ritorno si passava a Venezia per imbarcare il carbone che lo portavamo a Cattolica o Fano. A Cattolica i sassi che scaricavamo venivano portati via dai caritier dla Ventena.
Amarcord che un sabata matena, eravamo a Cattolica cherghe ad brecia. La barca, un trabaccolo, si chiamava Reno e a bordi eravamo tre fratelli (io, Pino e Gianni) poi Remo Ercoles e Chicano.
Il lunedì mattina usciamo dal porto: uiera un garben gintil. Era il 27 luglio 1938. Sulla punta di Ravenna cala la notte. Dopo un po’ è arrivata una forte tramontana. A mezzanotte si scatena un uragano: vento, mare grosso, una corrente molto forte, pioveva a dirotto… l’è nu giù la fin dal mond.
In coperta avevamo già buttato via tutto per alleggerire la barca. Era rimasta però la ghiaia nella stiva. Un forte rumore, come una valanga… il carico era scivolato su un lato. La barca si è impennata come un cavallo andando giù sii un fianco.
Era piena notte: l’1,30-2. Avevamo un battellino di poppa lighed sa du cimie. Mi sono buttato in acqua per raggiungerlo e ho provato a slegarlo. Non ci sono riuscito. Allora ho provato a rompere le corde con i denti. Era rimasta solo na barbeta, ma non ce l’ho fatta.
La barca stava affondando trascinando a fondo anche il battello. Remo era in acqua e urlava che non sapeva nuotare, Gianni si è trovato un pez ad bocaport addosso e l’ha dato a Remo: ti l’ha imbranchè e l’è mont sora. Mi guardo attorno e vedo i miei fratelli Pino e Gianni che stavano attaccati all’asta della poppa del battello e Chicano che aveva preso a nuotare verso riva dop avè but via li breghie. Anch’io mi sono spogliato via sacona, breghie e mudanden e l’ho presa a nuoto.
Eravamo a 3,5 miglia da terra (circa 5 km e mezzo). Ero un buon nuotatore. Ricordo che quando facevamo il bagno io e Citrato ci buttavamo in acqua dal guaz, fina al tramont (dal largo fino al faro del monte di Focara). Sono arrivato stremato a Marina di Ravenna. Ero nudo, mi sono buttato dentro un capanno. Entrando da un finestrino mi sono anche scorticato.
Ho tirato su un asciugamano e una paio di mutandine. Ho buttato giù la porta per uscire. Sono corso a dare l’allarme alla capitaneria di Porto Corsini. C’era un ufficiale e due soldati.
Disperato dissi: “abbiamo naufragato, in mare sono rimasti i miei fratelli, non li ho più visti, sono rimasti attaccati alla barca. lo mi sono salvato a nuoto”. Poi sono tornato verso la spiaggia.
Dentro al dog iera Silvestre dal Bigin. La su berca l’era cherga ad scaia. Aveva caricato in Jugoslavia e andava a Ravenna. A bordo ricordo c’era al Fanarot che di corsa mi ha subito seguito sulla spiaggia. Dremarena ho vest un om, ho chiesto se aveva visto nessuno arrivare dal mare.
“Sì, due marinai sono arrivati con quel battellino”. Pino e Gianni erano arrivati a riva col battello capovolto, uno attaccato a prua l’altro a poppa. Fortunatamente un colpo di vento aveva rotto la baveta dla corda che aveva ciancighè si dent, evitando di trascinarlo a fondo con la barca.
Chicano lo abbiamo trovato che dormiva in una capanno stremato. Il destino ha voluto che questo ragazzo poco tempo dopo morisse affogato nel porto di Magnavach (Porto Garibaldi) per una banalità. Gli era caduto il portafoglio in acqua e si era buttato per ripescarlo. Ma è rimasto intrappolato in una corda perché c’era una corrente molto forte ed è affogato.
Remo era arrivato in terra col pezzo di boccaporto e si era andato a rifugiare in una colonia per bambini che si trovava a pochi metri dalla spiaggia. Avevano raggiunto la colonia anche i miei fratelli Pino e Gianni. Abbiamo poi telefonato alla Casa dei Pescatore di Cattolica a Tori dla Frena (Salvatore Galluzzi). Ha raccontato subito il fatto a mio padre, che con una macchina insieme a Bruno Chelotti ad Picac, Galluzzi e la Dina, la moglie di mio fratello, sono venuti a Ravenna.
La direttrice dla culonia bulgnesa ci ha preparato a mezzogiorno un grande pranzo per festeggiare lo scampato pericolo. La commozione era grande, qualcuno piangeva. Mio padre Adamo disse: “nu pignì burdel a si tutt selve e la berca la stira sii “. Mio padre aveva portato su anche altri vestiti perché avevamo perso tutto m mare.
Galluzzi chiese aiuto alla Cooperativa Muratori di Ravenna per avere dei mezzi per tirare su la barca. Con grande spirito di solidarietà ci hanno messo a disposizione un punton sa du mariner e un palumber.
Da Cattolica abbiamo fatto venire su l’altro nostro battello (con Rino, Mario, mentre Gíanden e Tura sono rimasti a casa) per utilizzarlo come rimorchiatore. Il giorno dopo siamo usciti per tirare su la barca. Mio padre aveva sollevato un dubbio: “Ste chev d’acier l’è patia drenta”, difficilmente avrebbe sopportato il peso della barca. Nonostante l’avvertimento si è iniziata la manovra.
Fatta l’imbracatura da parte dei palombaro, quando la barca stava riemergendo… il cavo si è spezzato. Al paron dal punton alora u s’è scusè e l’ha det che da cal mument al du veva es al mi bà a direg li uperazion “. Il giorno dopo è andato a Ravenna in corriera a prendere un cavo nuovo dalla Rumini. Siamo poi usciti in mare, ma abbiamo dovuto ritornare subito in terra perché l’è nu su un furianac che è durato 3-4 giorni.
Mangiavamo nella trattoria Dal Cannone e dormivamo sul battello. L’operazione del recupero della nostra barca affondata, alla fine è riuscita.
Al palumber l’ha duvù prima cavè i pinon, li du velie e iparanchet. li timone era uscito, ma siamo riusciti a recuperarlo. Sistemate le pompe per togliere l’acqua, siamo riusciti finalmente ad arrivare in terra attraccando dai Pelagatti. Il giorno dopo, rimorchiata con la battellina, abbiamo portato la barca a Cattolica allo squero da Rubèrt per le riparazioni.
di Alberto Prioli
Tratto da “La Piazza di Rimini” – Giornale di Cattolica
(Foto – Archivio fotografico Centro Culturale Polivalente di Cattolica)