BREVE STORIA DEL PORTO CANALE DI CATTOLICA
Alla fine del XX secolo la flotta peschereccia di Cattolica contava 107 imbarcazioni
Il porto rappresenta il simbolo che caratterizza ed esprime la mentalità e la cultura del borgo marinaro.
Fin dall’inizio ha segnato l’impronta culturale e della tradizione, anche nel lessico e nei modi di dire
MARINERIA
Il funzionamento del porto canale di Cattolica dall’anno 1853 si inserisce dal punto di vista funzionale per due importanti interventi che hanno determinato di per sé la crescita e lo sviluppo del borgo marinaro, e cioè la deviazione nel 1836 della strada così detta postale in virtù della quale il corso del fiume veniva reso libero.
Il secondo intervento è stato la costruzione della stazione ferroviaria nel 1862 con l’apertura della linea Bologna Ancona. Successivamente anche l’attività cantieristica si è notevolmente sviluppata di pari passo con lo sviluppo del porto canale, con tutte le attività indotte legate alla pesca e alla navigazione fino allora gestite da piccole industrie e cantieri riminesi.
La costruzione definitiva con la realizzazione del molo di Ponente ha notevolmente migliorato l’approdo marittimo, nel 1857 fu costruito in legno sulla testata del molo di Levante anche un fanale. Gli ulteriori interventi del porto canale furono sino agli inizi del secolo ventesimo oggetto di studi e di contestazioni da parte dei pescatori nei confronti del consorzio che dal 1881 gestiva il porto costituito dai comuni limitrofi ed in particolare dal comune di San Giovanni in Marignano di cui Cattolica era frazione.
Dal 1865 Cattolica era porto di quarta classe amministrato dallo stesso comune di San Giovanni così come l’utilizzo dello scalo marittimo anch’esso consorziato dagli stessi comuni. Alla fine del secolo ventesimo la flotta peschereccia di Cattolica contava 107 imbarcazioni anche di notevole stazza, che alimentava il commercio ittico tanto che Cattolica era divenuto uno dei più importanti centri pescherecci del medio Adriatico.
I moli in un primo tempo erano formati da grossi pali di legno fissati secondo le tecniche di allora; il piano di calpestio era realizzato con lunghi tavoloni e le fessure venivano colmate da fascine e sassi.
Non si può scindere il piccolo borgo di Cattolica dalla sua fondamentale tradizione marinara e lo sviluppo del turismo balneare anche per la creazione di punti talassoterapici determinò così due importanti economie, dove fino a pochi decenni prima era ubicato il lazzaretto che ospitava la dogana per il controllo del traffico marittimo.
Nel 1883 sorgeva anche lo stabilimento bagni, più tardi nel 1910 dove era stata ideata la costruzione del porto canale venne invece costruito l’albergo kursaal. Le prime opere in muratura del porto di Cattolica risalgono al 1911, con la prima banchina di Ponente, coincidente con la via del Porto aperta circa nell’anno 1856 e che si collegava con il centro abitato di Cattolica, unitamente ai vecchi tratti di via Risorgimento e via Marconi costituendo così le principali vie di accesso a questa nuova banchina.
Negli anni 1922-23 i moli vengono prolungati in cemento armato, fino ad arrivare al 1931 in cui entrambe le banchine erano completamente in muratura. Dal 1932 al 1934 venne costruita la darsena e furono completati anche gli ultimi tratti di banchina a monte dello squero.
Il porto di Cattolica fin dalla sua nascita ha segnato una importante espressione culturale e di tradizione, perché in esso si compendiano tutti gli elementi del lessico e dei modi di dire che rappresentano l’autentica linfa vitale della comunità marinara. Il porto rappresenta quindi il simbolo che caratterizza ed esprime la mentalità e la cultura di questo borgo marinaro.
Infatti anche il modo di parlare dei marinai ricchi di accenti particolari e di sostituzione della g e della c, delle parole con la z, diventa espressione di fondo di questo carattere.
Gli stessi marinai si differenziavano anche per denominazione corrente dagli altri abitanti composti di osti, vetturini e artigiani chiamati in gergo “artisti”.
Modestissime erano le case come gli arredi e gli utensili per uso domestico, esempio le padelle, gli spiedi per cucinare il pesce, poi esistevano anche grandi contenitori ove si faceva bollire una particolare sostanza estratta dalla corteccia di pino (zappino) che permetteva di rendere più resistenti e durature le reti fatte in canapa o cotone e questa operazione i marinai chiamavano “tenta”.
Un progresso notevole che ha fortemente cambiato il tenore di vita nelle famiglie marinare si ebbe quando si costituirono i cantieri per la costruzione dei natanti all’incirca dal primo novecento a tutto gli anni 40, e questo sviluppo cantieristico portò anche alla costruzione sempre più moderna e aggiornata delle barche da pesca.
La ripartizione del pescato che veniva consegnato a chi garantiva lo smercio “parznevle” avveniva nei giorni di festa; l’unità di misura per attuare questa ripartizione era la così detta “quartarola” cioè la quarta parte del guadagno di un marinaio semplice, mentre per indicare l’entità della proprietà di una barca si usava il “carato” cioè la ventiquattresima parte di tutta la proprietà.
Le donne dei pescatori erano costrette per buona parte della giornata a differenza di quelle contadine, di stare fuori casa spesso in attesa al porto della barca di famiglia o alla raccolta di materiale combustibile come le cortecce dei tronchi d’albero che asportavano con un semplice scalpello e un martello dai fusti depositati presso i cantieri navali quando le maestranze andavano a pranzo.
Il modus vivendi di questo ambiente paesano si protrasse fino a che lo sviluppo turistico non trasformò l’assetto urbano e ove vi erano le dune e gli acquitrini (guazz) sorsero importanti ed eleganti alberghi che trasformarono completamente l’assetto urbano del paese.
La responsabilità di allevare i figli pesava esclusivamente sulle donne in quanto per lunghi periodi di tempo i mariti rimanevano assenti perché in mare intenti alla pesca.
A queste donne spettava anche la cucitura dell’abbigliamento per i mariti ed anche il cappotto da pioggia, una specie di incerata su una stoffa di cotone imbevuta nell’olio di lino.
Il pesce rappresentava la principale risorsa economica dei pescatori, quello più ordinario non veniva commerciato ma ripartito fra di loro (muséna), aggiungendo anche un certo quantitativo di pesce leggermente più pregiato che il “paròn” capo barca destinava allo stesso equipaggio, prima della vendita del pescato. Il pesce migliore destinato ai marinai veniva poi venduto dalle mogli dei pescatori, mentre il più scadente veniva usato per il consumo di famiglia.
Nei periodi di maggiore difficoltà economica era d’uso anche il baratto con prodotti della terra come frutta, verdura, farina di grano e di granturco.
La cottura del pesce avveniva nelle case dei pescatori generalmente arrosto sullo spiedo o sulla graticola (rustida) oppure in umido (brodetto). Questo pasto frugale veniva anche consumato a bordo delle barche quando erano in mare aperto e venivano usate come pane gallette particolari a forma di grande anello (bizulà).
di Sebastiano Mascilongo
La Piazza della ProvinciaOttobre 2012 – Giornale di Cattolica