IL MURE’
Al compimento di sette -otto anni di età, venivano imbarcati a bordo delle barche da pesca a vela del proprio genitore o di altri per imparare i primi rudimenti del mestiere. L’esperienza di questi bambini al primo contatto col mare era molto dura, caratterizzato da pesanti fatiche, paure, ma c’era anche la soddisfazione del primo guadagno e quella di diventare un uomo forgiato dalla dura vita del mare.
Dopo questa prima esperienza diventava un vero apprendista marinaio affidato all’insegnamento del capobarca ed acquisiva conoscenze ed esperienze.
La vita a bordo iniziava al momento della partenza dal porto e proseguiva navigando fino alla zona prescelta per la pesca. Si calavano le reti e a pesca conclusa le stesse venivano salpate.
Durante la navigazione per il ritorno venivano effettuate le operazioni di cernita del pescato e la sua successiva conservazione.
A seconda del tipo di pesca e del tonnellaggio della barca si poteva restare in mare lontano dalla famiglia fino ad una intera settimana e con i grandi trabaccoli da pesca anche una quindicina di giorni.
I giorni passati in mare determinavano per l’equipaggio stesso una piccola comunità in uno spazio ristretto come poteva essere la barca con tutte le esperienze della luce, del buio, dei venti, della bonaccia e delle tempeste; pochissimi i momenti di pausa e di riposo che molto spesso erano soltanto il momento in cui si consumava l’arrostita o il brodetto fatto perlopiù di pesce povero ma saporito e gustoso come solo i marinai sono capaci di fare.
Quando i marinai erano intenti alla pesca, magari anche con vento forte di tempesta, volavano espressioni colorite, imprecazioni, esclamazioni per una rete imprigionata nel fango o che si rompeva impigliandosi nelle “presure” cioè ostacoli nel fondo del mare come barche affondate o qualsiasi altra presenza per cui la rete poteva incappare e rompersi.
Alle volte gli stessi marinai nelle difficili manovre si ferivano in maniera più o meno seria e l’intervento era con metodi empirici e provvisori per il tempo necessario ad arrivare in porto.
Il marinaio a terra molto spesso poteva anche esprimere il suo carattere rude incoraggiato da più o meno abbondanti libagioni quando si attardava nelle osterie o in altri luoghi di ritrovo e quindi poteva scoppiare anche qualche litigio.
Meno problematico era invece il rapporto con le genti di campagna accomunati solo dalla miseria e da certe credenze rituali o superstiziose.
di Sebastiano Mascilongo
La Piazza della Provincia Giornale di Cattolica – Luglio 2012