La tragedia del Gianbattista

“Mio fratello Mario (‘Bogule’) – interviene Marcello Prioli -, diceva che andavano a pescare sempre in quella zona. Quella notte hanno sentito un gran boato”.”Allora hanno preso la mina in vela – interviene Carlo Bacchini. Noi avevamo visto una mina a pel d’acqua, l’avevano vista tutte le barche che stavano pescando lì. Si vede che quando hanno messa a vela sono andati a prova feta dentro”. “Noi che eravamo tornati a Cattolica, -continua Carlo Bacchini avevamo venduto il pesce. Poi all’alba, verso le due-due e mezza, dovevamo ritornare in mare. Stavamo salpando, quando vediamo il “Bogule” (Mario Prioli) che stava rientrando senza niente, perchè avevano buttato via tutto per andare in soccorso del Gianbattista. Ma non a evano trovato niente. Li abbiamo fermati. ‘Mario ad Patalnon’ è andato a chiedere cosa era successo. Saputo della disgrazia siamo andati in 4-5 barche di Cattolica a vedere nella zona dello scoppio, ma non abbiamo trovato niente”. “Al ‘Ciusot’ Nino, che era il paron del Gianbattista, quella volta non si era imbarcato perchè ammalato, il suo posto fu preso da ‘Gag’ (Gaetano Francolini). Un bravo marinaio. E’ stata una disgrazia. Sono morti tutti, non si è ritrovato più niente – dice Lino Rossi”. “Gag’ da quindici giorni era sulla nostra barca, la Bula, dice Giuseppe Casali – poi è andato sul Gianbattista dove era imbarcato suo figlio (Luigi Francolini). Noi pescavamo di qua, mentre gli altri andavano di là (coste iugoslave)”. Abbiamo lasciato la musena nella ghiacciaia – dice Mariano Ercoles – perchè siamo partiti per andare a vedere. La lapide del Gianbattista si trova sulla facciata della chiesa del cimitero. Fu un lutto che coinvolse tutta la città. La Cooperativa Casa dei Pescatore si occupò delle famiglie dei marinai caduti. Anche la fabbrica del pesce (SAFRAS, la barca era della fabbrica); i figli furono assunti” . “Qualche tempo prima – dice Marcello Prioli – la stessa barca aveva già sfiorato la tragedia. Andavano verso Ravenna, s’imbatterono in un temporale col mare grosso e nebbia fittissima… si ritrovarono di là, vicino Rovigno. Non c’erano i radar quella volta”.. Renato Romani la settimana dopo – dice ‘Ciandrech’ – doveva imbarcarsi sulla nostra barca, il Ravennate, perchè voleva cambiare barca”. Sulle barche si era in 10-12 anche se in pratica bastavano 6-8 marinai – dice Mariano Ercoles -. Ma questo si faceva perchè non c’era posto per tutti. Serviva per fare lavorare tutti. Era un’indicazione della Cooperativa, ma anche un principio di solidarietà e di cooperazione molto sentito tra tutti i marinai. Ci davamo una mano, anche perchè i valori ideali dei partito e dello spirito comunista erano molto sentiti. Con un equipaggio di 12 persone, 10 andavano in mare e due rimanevano in terra e ci si alternava. Adesso c’è molto più egoismo anche se la gente è benestante”. “Nella mia barca eravamo in 14, 10 in mare e 4 in terra – dice Ercoles Mariano -. Se fossimo stati egoisti bastavano la metà e avremmo preso il doppio. Ma in quel modo un pezzo di pane era assicurato a molte più famiglie. La Cooperativa aveva stabilito una convenzione, decisa in assemblea dai marinai, e nelle barche con più di 100 cavalli ci si imbarcava in 12”.Noi con uni cinquantino eravarno in 12-13 (barca di 14 metri di Cecchini Luigi) e li stava in terra a turni. Era la cooperazione “ . “Non era una cosa sentita come un obbligo – dice Giuseppe Casali -, ma un sentimento. C’era l’idea della lotta di classe, c’era il partito. il ‘Cremlino’ (la sede dei PCI), qui adesso dove c’è il Bar Pace, l’abbiamo fatto noi. Abbiamo tirato fuori i soldi, poi ognuno nel tempo libero portava materiali e lavoro: chi faceva il muratore, l’imbianchino… Anche la Casa dei Pescatore a Cattolica di fatto esiste da sempre, poi nel dopoguerra sono sorte anche nelle altre marinerie. La sentivamo come una cosa nostra alla quale abbiamo portato lavoro e contributi. Serviva per la nostra tutela e ci ha aiutato nei momenti difficili.Ricordo che nel ’29, l’anno del nevone, le barche sono state a terra per quasi tutto l’inverno. La fame era grossa. Si mangiavano le cozze e le seppie morte congelate che venivano spinte a terrà dal mare. La Cooperativa dai tempi di Salvatore Galluzzi (‘Tori dla Frena) ha dato un quintale di legna a ogni famiglia per riscaldarsi dal gelo. Ci ha sempre difeso e trattato con gli armatori (ci sono state lotte durissime), insomma una vera difesa sindacale per i marinai altrimenti troppo deboli”.”Ricordo una volta lo scontro con l’armatore Bertozzi – dice Carlo Bacchini – che voleva imporci di fare la nafta del Ravennate nella sua pompa. Da qualche tempo lo stesso servizio lo svolgeva anche la Cooperativa. Sono andato da Galluzzi della Cooperativa. Abbiamo fatto la nafta qui. Bertozzi ci chiamò, c’era con me ‘Nino ad Pirol’ (mio zìo),’Mario ad Bragagna’,La Brigata’, ‘Macaron’. Si arrabbiò moltissimo. La settimana dopo, come di consuetudine, gli abbiamo portato in regalo la musena, ma ribatteva su quel fatto. Gli dissi: ‘guardate che a Cattolica c’è una squadra di giovani marinai che ci buttano a mare tutti…’. S’impaurì e dal quel giorno la nafta si fece alla pompa della Cooperativa. Addirittura chiuse la sua pompa”. Volevano dividere la Cooperativa perchè dava fastidio ai grossi armatori”. Tommasini Guido (‘Tigùmo) dice: “Eravamo gli armatori più grossi che avevano aderito alla Cooperativa. C’era un ‘Cíabasch’ che diceva a mio padre ‘Danen'(5 figli e 2 barche): ‘ma quanti soldi buttate in quella Cooperativa?’ Mio padre rispondeva che lì c’erano i suoi amici e non ci pensava nemmeno di togliersi, piuttosto faceva la fame”.

di Alberto Prioli

 

Tratto da “La Piazza di Rimini” – Giornale di Cattolica
(Foto – Archivio fotografico Centro Culturale Polivalente di Cattolica)

 

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